Simone Ronzio            
 

Border/ Confine 

Il confine è un luogo effimero, sospeso tra gesti abituali, rituali, ricordi, paure e speranze. Sul confine l’uomo incontra se stesso e si accorge dell’altro. L’umanità intera danza su un confine tracciato di illusioni. 











Ho iniziato questo progetto quattro anni fa incontrando alcuni migranti maliani a Berbenno in Valtellina in un'abitazione in cui erano ospitati in attesa di futura destinazione.
Passando diversi giorni con loro, sono uscite una serie di immagini in cui le azioni, gli oggetti, le storie personali, la ritualità, hanno svelato il tema del mio lavoro: il confine come condizione esistenziale (non solo fisica, ma metafisica). "Sul confine entriamo in sintonia con noi stessi, il nostro vissuto la nostra identità… costruiamo la forza che ci aiuterà a superarlo. Sul confine si rimane sospesi tra ricordo e desiderio, ci si “spoglia” delle sovrastrutture, si esce dai ruoli… si incontra se stessi.”
Il tema dei migranti è secondario al tema principale, è solo un pretesto per parlare del confine come spazio di transizione. La fotografia vorrebbe ritrarre la sospensione, l’attesa (l'ambientazione sembra quasi da "Deserto dei Tartari”).
Il confine è uno “stato”, è il momemto tra un prima e un dopo; è la sensazione che travolge l’uomo nel momento in cui perde le sicurezze, si scopre e ri-scopre… è un un momento di “debolezza” che precede un coraggioso cambiamento.
Di fatto credo che i migranti siano più forti di noi… l’uomo contemporaneo ha paura dell’insicurezza (del confine), della trasformazione, di rivedere i propri valori, di “spogliarsi” per immaginare cosa ci può essere in una umanità "oltre confine”.